MANIFESTATO E NON-MANIFESTATO


Ultimamente mi sto soffermando sui concetti di manifestato e non-manifestato, non tanto, però, sul loro significato razionale o scientifico, ma quanto su una sensazione mistica, se vogliamo, che sto sentendo in questo periodo.

La vita che conosciamo è il manifestato, di contro, il non-manifestato non lo conosciamo e non possiamo conoscerlo, dato che non si manifesta, ma sicuramente anch'esso è vita (il vuoto assoluto non esiste).

Forse possiamo parlare di non-manifestato in termini di”potenza”, mentre il manifestato  in quelli di “atto”, ma sempre vita è (ricordiamo che l'Assoluto è sia manifestato che non-manifestato e potenza e atto nell'Assoluto sono simultanei e indivisibili).

La manifestazione sul piano assoluto non esiste, perchè esiste solo Dio, è quindi solo relativa e soggettiva e in questa soggettività “appare” nascere, crescere, muoversi, morire. I cosmi si emanano eppoi si riassorbono, la materia ritorna ad essere energia, l'energia ad essere mente, la mente ad essere akasha. Tutto nasce dallo Spirito e allo Spirito ritorna (sempre apparentemente). Invece la non-manifestazione non ha tutto questo, si potrebbe dire che è eterna o è la vera vita, perchè immutabile, non subisce nascita, crescita, movimento e morte.

La vita eterna, quindi, somiglia più al non-manifestato che al manifestato.

Tutto quello che si manifesta e possiamo conoscere è sempre qualcosa che poi, di contro, ritorna allo stato naturale e quello stato naturale non si manifesta, perchè nel momento che lo farebbe, subirebbe anch'esso la nascita-crescita-morte; subirebbe l'emanazione e il riassorbimento.

Tutto questo mi fa pensare che è più “vero” e importante quello che non si conosce e non si può conoscere, piuttosto che ciò che posso conoscere (conoscere è dualità).

Tutto quello che non si manifesta, piuttosto che ciò che si manifesta.

Se posso nominare Dio allora non è Lui, se posso pensarlo allora non è Lui.

Se posso conoscere me stesso allora non è la mia vera identità, se posso vedermi, toccarmi, assaporarmi, annusarmi, pensarmi, allora non è la mia vera identità; non è la mia vera essenza.

Un ritorno al “vuoto”, al “silenzio”, intesi non come situazioni umane, ma come a qualcosa di innominabile, di inconoscibile, di inarrivabile, di incommensurabile quali siamo, perchè è l'unico modo in cui possiamo esistere realmente; l'unico modo in cui esiste Dio.

Ecco, è da tempo che sento il “vuoto” e il “silenzio” come la voce del divino, ma ero sempre “io” a sentirlo; questo “io” che non si fa mai da parte, questo io manifestato che non vuole mollare la propria manifestazione. Ora questo accostamento tra il manifestato e non-manifestato mi ha aiutato a capire  meglio il significato.

Se prima sentivo il bisogno di divincolarmi nel farmi spazio, nel distinguermi, nel voler dire a tutti i costi ehi ci sono anch'io qui, ora non lo sento più, perchè comprendo che quel “me” non è vero, è solo illusione e più si agita e più si illude.

Ora sento importante ritrovarmi in quel mistero, in quell'ignoto che, forse, non fa più tanta paura; per ritrovarmi in quel “vuoto” … e sapere che, forse, “sono” proprio quel vuoto.

E mi sento leggero!

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