Spesso ci si domanda cosa posso fare per migliorarmi, per risvegliarmi ecc, ma già la domanda stessa, se ci si guarda bene nel profondo di noi stessi, ci da delle risposte, anche se non proprio come le cercavamo.
<<La Prima-Causa - antecedente al tempo, allo spazio, alla materia - deve essere necessariamente diversa da tutto quanto cade sotto la nostra attenzione nel mondo del finito, del limitato, del transitorio. Posso immaginare, che il rapporto che esiste fra questa Prima-Causa ed il causato, non è lo stesso che esiste fra causa ed effetto nello spazio-tempo. [...] La Causa del Tutto, cioè la Prima-Causa, deve essere indipendente da tutto; non deve dipendere da alcunché, cioè deve essere la Prima-Causa-Increata, altrimenti dovrei spostare il mio esame fino a trovare la Causa esistita da sempre.>> (Seduta dell'8 maggio 1975 - CF77) Dio, quindi, non può che essere la Prima Causa dove tutto si genera, ma una causa del tutto diversa dalla causa-effetto che conosciamo noi; è una causa che non ha una causa, infatti Dio E', Dio E' CIO' CHE E'. Nel relativo, diversamente, tutto ha una causa, una ragione, un motivo, tanto che ogni cosa è concatenata all'altra
Ho notato dentro di me che quando comprendo qualcosa, quando mi si apre una consapevolezza, normalmente tendo a farne un'ideologia, tendo a costruirci attorno una struttura, un qualcosa da poter seguire per sentirmi più sicuro, come dire:”ecco, adesso ho capito, basta seguire la tal cosa ed il gioco è fatto”. Invece non è affatto così! Comprendere, ad esempio, l'importanza della fiducia in sé e nella vita, il lasciar andare, l'amare se stessi, la non dualità per poi propormelo come obiettivo da seguire non mi riesce, è come se mi sfuggisse ogni volta e da lì le mie frustrazioni di non riuscire e trovarne poi le ragioni o addirittura cercare altre vie. Il fatto è, credo, che seguire un obiettivo o ideologia o anche una consapevolezza propria, per quanto alta sia, esige un comportamento, e "comportarsi" per uniformarsi all'idea o all'immagine di sé che si vuole essere, vuol dire "apparire" e non "essere". Diventa u
Si dice che, filosoficamente, qualunque cosa, per esistere, o ha una sua pur larvata coscienza d'essere oppure, se non ce l'ha, deve esservi qualcuno cosciente che la percepisce, altrimenti non esiste. Queste parole possono sembrare ovvie o insignificanti eppure non sono così scontate e hanno un loro aspetto interiore interessante. Noi sappiamo di esistere, abbiamo coscienza che esistiamo, però questa coscienza non sappiamo bene cos'è. Vediamo, sentiamo, parliamo, pensiamo e questo ci testimonia che viviamo, ma tutte queste cose sono solo espressioni della coscienza, non la coscienza vera e propria; è ciò che appare e non ciò che è. Rimanendo nel ciò che appare la nostra coscienza è labile, insicura, indecisa e inconsciamente cerca appoggi per esistere e anche testimoni che avvallino la sua esistenza. Ad esempio avere conoscenze, l'essere accettati, il farci notare, il sentirci considerati è una specie di testimonianza che cerchiamo dagli altri, come se gli altri ci
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