LA CERTEZZA INTERIORE
Alla
fine del libro "Per un mondo migliore" Kempis, in
conclusione di un bellissimo discorso, dice:
<<E quale mai può essere lo scopo per cui ogni uomo si affanna, arrovella, contempla, distrugge, se non quello di dargli una coscienza che rifletta la realtà del mondo del sentire? Ma chi mai potrà convincervi, darvi questa certezza?
Nel mondo da cui vi parlo, nessuno può vedere ciò che non crede, mai la prova viene prima della certezza! La Realtà è nell'intimo dell'"essere" e solo lì può essere scoperta.>>.
Queste parole possono sembrare strane dette da uno che nei suoi insegnamenti porta alla logica, al raziocinio, a capire con la mente, invece qui sembra che "credere" sia indispensabile.
Che cos'è quel "credere"? E perchè viene prima la "certezza" della "prova", quando, invece, per noi è proprio la prova che ci dà la certezza? Infatti cerchiamo sempre la prova in ogni cosa, la prova nella scienza, nella medianità, nella religione o spiritualità attraverso i maestri illuminati ecc.
Quel "credo" di cui parla Kempis, penso sia quel grado di coscienza acquisito che ognuno di noi ha. Credere fortemente in qualcosa è avere la "certezza" di quel qualcosa, è come "sentirla" dentro talmente forte da darci la certezza. "Credere" inteso come coscienza acquisita.
Infatti quante prove di manifestazioni fenomeniche si sono avverate durante le sedute? Apporti, levitazioni, luminosità, profumi ecc. eppure non era mai abbastanza per chi non credeva, mentre per chi credeva era più che evidente. Era sempre una questione di crederci oppure non crederci. Per chi credeva era una certezza, per chi non credeva non c'era certezza. Sempre di un fatto interiore si tratta, perchè la prova esteriore non dà la certezza.
Questo perchè, come sappiamo, la verità, la realtà delle cose è data dall'identificazione e non dalla separazione. Quando siamo nell'essere noi ci identifichiamo nella realtà ed è quella la verità di noi stessi; quando invece siamo nell'io, nella separazione soggetto-oggetto, siamo nell'apparenza della vita e non nella verità. Per cui io non avrò mai la certezza dalla separazione, cioè da qualcosa di esterno a me. E' come se la coscienza, l'essere, emanasse, manifestasse da se stesso una parte di sé, la rendesse oggetto di sé al fine di conoscerla esteriormente, creando una separazione di sé, una dualità , la quale, però, ne avrà solo una conoscenza apparente e parziale, non reale, non vera, non completa, perchè la verità sarà solo quando quella parte ritornerà al proprio essere, nella completezza dell'essere.
Dall'apparente dualità alla realtà non-duale.
Questa “certezza” interiore, quindi, non può appoggiarsi alla prova oggettiva voluta dall'io, perchè rimarrebbe nella separazione soggetto-oggetto, cioè rimarrebbe nell'apparenza, mentre la certezza interiore è dovuta dalla coscienza che, invece, vive nella realtà che è essere, cioè identificazione.
L'io ne avrebbe sempre una visione separata e perciò non reale, invece questa certezza viene da una non-separazione tramite una consapevolezza acquisita, una consapevolezza che per sua natura unisce. Ma questa consapevolezza per diventare coscienza (certezza) ha bisogno di essere radicata dentro di noi, di entrare nelle cellule del proprio interiore anche attraverso l'esperienza del corpo, delle vicissitudini della vita che fortificano ulteriormente quel germogliare iniziale della consapevolezza fino a diventare certezza.
Dico questo per mia esperienza personale, perchè molto spesso certe consapevolezze o rivelazioni che riusciamo a capire, poi nella vita di tutti i giorni sembrano non realizzarsi mai. Bella l'ideologia, ma poi la durezza della vita la rende innocua e si ricade nel pragmatismo di cui ci eravamo abituati, cioè ricadere nell'io, in quella mente che si sente maggiormente rafforzata nel suo modo di ragionare.
Invece proprio in questo mio periodo molto difficile e intenso, dove cercavo ostinatamente qualche prova oggettiva per necessità personale, la vita mi ha dato un piccolo accenno con cui ho potuto comprendere appieno questa “certezza” interiore. Mi sono svegliato una mattina e, inspiegabilmente, sentivo una certa forza interiore, una sicurezza che non so bene descrivere e, nonostante i problemi erano ancora tutti lì, sembrava che non avessero alcuna importanza e appena me ne veniva in mente era come se un'altra forza interiore mi dicesse senza alcun dubbio:”Non preoccuparti”.
In quella forza interiore, i sensi di colpa giornalieri, i dubbi, le frustrazioni, i continui conflitti mentali svanivano, non avevano nessuna presa su di me; non esistevano proprio. Si sentiva chiaramente che appartenevano solo all'io, a quando ci si identifica nell'io; viceversa, quando è la coscienza ad esprimersi, questi scompaiono e la sua forza subentra in noi. Lì capii cosa fosse questa “certezza”, quella forza interiore e naturale dell'essere, davvero molto diversa dalle prove continue che l'io pretende dalla vita. Quelle prove che vuole l'io non hanno sussistenza, non hanno presa, non hanno quella forza dell'essere unito a se stesso, se vogliamo usare questo termine. Quell'esperienza, quel sentire di quel giorno converge la mia attenzione non più nella prova che mi farebbe rimanere nel mio “io”, ma nel ritrovare quella forza interiore dell'essere. Il senso della vita non è “avere” (la prova), ma “essere”.
L'io sente la sicurezza nel possesso (materiale o psicologico o affettivo) che però è sempre separazione, tanto che, quando la vita te lo toglie, cade in depressione. La certezza, invece, viene dall'essere che non è separazione, ma se questo essere, se questa coscienza non è ancora matura, di conseguenza non sente tale certezza, anzi la sente come un vuoto che urta ulteriormente l'io. Però quando senti questa forza, allora comprendi cosa Kempis voleva dire. Se la prova viene prima della certezza, si rimane nella separazione dell'io; viceversa, se prima viene la certezza dentro di sé, allora quella forza interiore “genera” la prova.
Infatti noi crediamo alla prova per avere la certezza, perchè vediamo la vita dal nostro punto di vista, cioè dal basso. Vederla dall'alto è la coscienza che crea le situazioni della vita al fine di farci comprendere, ecco perchè non possiamo vedere ciò che non crediamo, perchè è quel “credere” (coscienza) che proietta la cosiddetta prova che cerchiamo e se prima non crediamo, non possiamo vederla.
La coscienza crea le situazioni che viviamo nel mondo e a seconda del nostro grado di coscienza si presenta la situazione apposita affinchè comprendiamo noi stessi al fine di salire un gradino in più nella nostra coscienza. Cercare prima la "prova" vuol dire non aver compreso il senso della vita.
E così Kempis ci riporta di nuovo nell'intimo dell'essere dove solo lì può essere scoperta la Realtà.
<<E quale mai può essere lo scopo per cui ogni uomo si affanna, arrovella, contempla, distrugge, se non quello di dargli una coscienza che rifletta la realtà del mondo del sentire? Ma chi mai potrà convincervi, darvi questa certezza?
Nel mondo da cui vi parlo, nessuno può vedere ciò che non crede, mai la prova viene prima della certezza! La Realtà è nell'intimo dell'"essere" e solo lì può essere scoperta.>>.
Queste parole possono sembrare strane dette da uno che nei suoi insegnamenti porta alla logica, al raziocinio, a capire con la mente, invece qui sembra che "credere" sia indispensabile.
Che cos'è quel "credere"? E perchè viene prima la "certezza" della "prova", quando, invece, per noi è proprio la prova che ci dà la certezza? Infatti cerchiamo sempre la prova in ogni cosa, la prova nella scienza, nella medianità, nella religione o spiritualità attraverso i maestri illuminati ecc.
Quel "credo" di cui parla Kempis, penso sia quel grado di coscienza acquisito che ognuno di noi ha. Credere fortemente in qualcosa è avere la "certezza" di quel qualcosa, è come "sentirla" dentro talmente forte da darci la certezza. "Credere" inteso come coscienza acquisita.
Infatti quante prove di manifestazioni fenomeniche si sono avverate durante le sedute? Apporti, levitazioni, luminosità, profumi ecc. eppure non era mai abbastanza per chi non credeva, mentre per chi credeva era più che evidente. Era sempre una questione di crederci oppure non crederci. Per chi credeva era una certezza, per chi non credeva non c'era certezza. Sempre di un fatto interiore si tratta, perchè la prova esteriore non dà la certezza.
Questo perchè, come sappiamo, la verità, la realtà delle cose è data dall'identificazione e non dalla separazione. Quando siamo nell'essere noi ci identifichiamo nella realtà ed è quella la verità di noi stessi; quando invece siamo nell'io, nella separazione soggetto-oggetto, siamo nell'apparenza della vita e non nella verità. Per cui io non avrò mai la certezza dalla separazione, cioè da qualcosa di esterno a me. E' come se la coscienza, l'essere, emanasse, manifestasse da se stesso una parte di sé, la rendesse oggetto di sé al fine di conoscerla esteriormente, creando una separazione di sé, una dualità , la quale, però, ne avrà solo una conoscenza apparente e parziale, non reale, non vera, non completa, perchè la verità sarà solo quando quella parte ritornerà al proprio essere, nella completezza dell'essere.
Dall'apparente dualità alla realtà non-duale.
Questa “certezza” interiore, quindi, non può appoggiarsi alla prova oggettiva voluta dall'io, perchè rimarrebbe nella separazione soggetto-oggetto, cioè rimarrebbe nell'apparenza, mentre la certezza interiore è dovuta dalla coscienza che, invece, vive nella realtà che è essere, cioè identificazione.
L'io ne avrebbe sempre una visione separata e perciò non reale, invece questa certezza viene da una non-separazione tramite una consapevolezza acquisita, una consapevolezza che per sua natura unisce. Ma questa consapevolezza per diventare coscienza (certezza) ha bisogno di essere radicata dentro di noi, di entrare nelle cellule del proprio interiore anche attraverso l'esperienza del corpo, delle vicissitudini della vita che fortificano ulteriormente quel germogliare iniziale della consapevolezza fino a diventare certezza.
Dico questo per mia esperienza personale, perchè molto spesso certe consapevolezze o rivelazioni che riusciamo a capire, poi nella vita di tutti i giorni sembrano non realizzarsi mai. Bella l'ideologia, ma poi la durezza della vita la rende innocua e si ricade nel pragmatismo di cui ci eravamo abituati, cioè ricadere nell'io, in quella mente che si sente maggiormente rafforzata nel suo modo di ragionare.
Invece proprio in questo mio periodo molto difficile e intenso, dove cercavo ostinatamente qualche prova oggettiva per necessità personale, la vita mi ha dato un piccolo accenno con cui ho potuto comprendere appieno questa “certezza” interiore. Mi sono svegliato una mattina e, inspiegabilmente, sentivo una certa forza interiore, una sicurezza che non so bene descrivere e, nonostante i problemi erano ancora tutti lì, sembrava che non avessero alcuna importanza e appena me ne veniva in mente era come se un'altra forza interiore mi dicesse senza alcun dubbio:”Non preoccuparti”.
In quella forza interiore, i sensi di colpa giornalieri, i dubbi, le frustrazioni, i continui conflitti mentali svanivano, non avevano nessuna presa su di me; non esistevano proprio. Si sentiva chiaramente che appartenevano solo all'io, a quando ci si identifica nell'io; viceversa, quando è la coscienza ad esprimersi, questi scompaiono e la sua forza subentra in noi. Lì capii cosa fosse questa “certezza”, quella forza interiore e naturale dell'essere, davvero molto diversa dalle prove continue che l'io pretende dalla vita. Quelle prove che vuole l'io non hanno sussistenza, non hanno presa, non hanno quella forza dell'essere unito a se stesso, se vogliamo usare questo termine. Quell'esperienza, quel sentire di quel giorno converge la mia attenzione non più nella prova che mi farebbe rimanere nel mio “io”, ma nel ritrovare quella forza interiore dell'essere. Il senso della vita non è “avere” (la prova), ma “essere”.
L'io sente la sicurezza nel possesso (materiale o psicologico o affettivo) che però è sempre separazione, tanto che, quando la vita te lo toglie, cade in depressione. La certezza, invece, viene dall'essere che non è separazione, ma se questo essere, se questa coscienza non è ancora matura, di conseguenza non sente tale certezza, anzi la sente come un vuoto che urta ulteriormente l'io. Però quando senti questa forza, allora comprendi cosa Kempis voleva dire. Se la prova viene prima della certezza, si rimane nella separazione dell'io; viceversa, se prima viene la certezza dentro di sé, allora quella forza interiore “genera” la prova.
Infatti noi crediamo alla prova per avere la certezza, perchè vediamo la vita dal nostro punto di vista, cioè dal basso. Vederla dall'alto è la coscienza che crea le situazioni della vita al fine di farci comprendere, ecco perchè non possiamo vedere ciò che non crediamo, perchè è quel “credere” (coscienza) che proietta la cosiddetta prova che cerchiamo e se prima non crediamo, non possiamo vederla.
La coscienza crea le situazioni che viviamo nel mondo e a seconda del nostro grado di coscienza si presenta la situazione apposita affinchè comprendiamo noi stessi al fine di salire un gradino in più nella nostra coscienza. Cercare prima la "prova" vuol dire non aver compreso il senso della vita.
E così Kempis ci riporta di nuovo nell'intimo dell'essere dove solo lì può essere scoperta la Realtà.
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