"IL VALORE DEL SILENZIO" (Opuscolo)

 IL VALORE DEL SILENZIO

Con riferimenti al Cerchio Firenze 77


Queste brevi riflessioni sono consapevolezze personali cresciute nel mio vivere quotidiano attraverso il mio “conosci te stesso” e con l'aiuto degli insegnamenti dei Maestri del Cerchio Firenze 77 che ci parlano da una dimensione molto elevata e rivelano delle “verità” che da soli non avremmo mai potuto raggiungere.

Sono, quindi, come un mix tra la comprensione degli insegnamenti e il conoscere me stesso, e vanno a scardinare in profondità nell'animo umano senza fermarsi al semplice migliorare se stessi, ma anzi vanno “oltre” se stessi, in quella spiritualità non comune e anche poco accettata dai più.

Iniziano con l'ascolto dentro di me in un vuoto pieno di ansia, frustrazione, preoccupazione che mi fa inizialmente allontanare dalla mia voce interiore, per poi, con il tempo, farmi consapevolizzare fino a non sentire più quel vuoto come un'oppressione, ma anzi, comprendere l'importanza e il “valore” di quel silenzio.


PAURA DI VOLARE

Volevo ascoltarmi interiormente, volevo toccare l'essenza di me credendo di trovare un punto, un qualcosa, invece sentivo un abisso, un vuoto infinito che mi ha spaventato a morte. Allora ho cercato qualche appiglio, volevo aggrapparmi a qualsiasi cosa e mi sono rivolto al conosciuto, al passato, alla memoria, ai pensieri e anche i miei problemi, in quel momento, mi andavano bene pur di aggrapparmi per non cadere in quell'abisso di me.

Lì ho scoperto di essere infinito, ma non è stato bello, per me significava morte.

Non ero ancora pronto alla mia infinità!

Sono ritornato nel mio quotidiano, nel mio già conosciuto, ma ormai quell'infinito di me mi richiamava; potevo ancora sfuggirgli, ma ogni volta la sua voce si faceva più intensa.

Mi diceva: “lasciati andare”!

Ma non mi rassicurava che non sarei caduto, perchè quella rassicurazione sarebbe stato un velato appiglio che io avrei anteposto; ancora una volta cercavo di aggrapparmi a qualcosa, ad una sicurezza anche se solo immaginata.

Lasciati andare!

Un semplice lasciarsi andare, un abbandonarsi, come quando sei stremato, senza più forze, senza più energie e allora diventa un alleggerirsi, un riposarsi dopo tante fatiche.

E' un preludio al silenzio interiore.

Difficile sentire il proprio silenzio interiore se sei pieno di attività, se sei pieno di energia.

Confesso che prima ad ora il silenzio mi faceva sempre un po' paura, perchè lì ci sentiamo vuoti, quasi inesistenti, non sentiamo la terra sotto i piedi, ci sentiamo quasi sospesi in aria con la paura di cadere e ne siamo spaventati.

Vogliamo sempre “qualcosa” che ci faccia sentire di esistere, una gioia, un'emozione, una sensazione e pur di sentire qualcosa siamo disposti anche a buttarci nei nostri drammi personali, nelle nostre preoccupazioni.

I pensieri sono quel “qualcosa” a cui ci aggrappiamo e rappresentano la sicurezza che ci siamo ancora (“penso, dunque sono”).

Beh, ecco, quel vuoto che sentiamo è il nostro divino.

Quel vuoto, quel silenzio è come un cerchio aperto, come un buco, un foro, come lo spazio vuoto in ogni cosa e quindi lo spazio vuoto anche dentro di noi, l'immensità dentro noi, e questo è il senso di infinità che ognuno ha dentro di sé, quel vuoto indefinito che noi non riusciamo a decifrare, ad interpretare e spesso ci opprime, ci fa sentire pressanti dentro di noi.

E' uno spazio vuoto che noi cerchiamo di colmare, che ci agita e ci deprime a volte e perciò ci fa cercare energia ovunque, perchè in quel vuoto ci si sente un po' persi.

Siamo abituati a controllare, a decifrare, a catalogare, a capire, a racchiudere ogni cosa o pensiero e perciò quando sentiamo quel vuoto ci destabilizza, ci disorienta.

A volte ci può causare una forte depressione, perchè questo infinito in noi, ci fa sentire come “incompleti”, come “sconosciuti”, come inarrivabili e nella nostra mente umana lo interpretiamo come “incapacità”, “frustrazione”, “incompletezza”.

Sentiamo sempre che ci manca qualcosa nella nostra vita e vorremmo avere una vita piena di impegni, di soddisfazioni proprio per evitare quella paura di non riuscire a sentirci appagati che ci farebbe precipitare in quel vuoto pieno di dubbi, paure, frustrazioni, incertezze, solitudine che accenderebbero i rimproveri della propria mente.


LA REALIZZAZIONE DI SE'

E per soffocare quel vuoto dentro di noi cerchiamo la propria realizzazione personale, ma cosa significa realizzarsi?

Significa realizzare i propri sogni, di sentirsi realizzato come persona, nel lavoro, nei propri talenti, nella società?

Abbiamo mai guardato dentro di noi cosa veramente significa?

Avere successo, essere considerati e apprezzati dagli altri da cosa ci deriva nel profondo di noi stessi?

Vogliamo in qualche modo che gli altri si accorgano di noi, che ci considerino, che ci apprezzino per non sentirci esclusi? Sentirci apprezzati, accolti ci da un senso di "salvezza", diversamente, sentirsi esclusi, respinti ci fa sentire in depressione e la sentiamo come una morte.

L'io, nel suo sentirsi separato, sente la vita come un "salvarsi", ossia sopravvivere, e vede questa "salvezza" come un prevalere sugli altri (morte tua, vita mia) e ogni situazione, perciò, diventa una sfida.

E se non è per la paura della morte, lo è per meritarci la nostra sopravvivenza nell'aldilà.

Vogliamo "vincere", vincere contro gli altri e con noi stessi per sopravvivere, fondamentalmente!

Come ci sentiamo quando vinciamo? E come ci sentiamo, invece, quando perdiamo? Non ci sentiamo un po' morire quando perdiamo e sopravvivere quando vinciamo?

Basta osservarci in ogni situazione, in una qualsiasi partita o competizione sportiva si deve vincere, e anche se non siamo coinvolti direttamente, lo si può vedere anche nel tifo per la squadra del cuore. Anche in un semplice dialogo dobbiamo far valere la nostra opinione; bisogna sempre essere migliori in ogni campo e situazione, perchè per l'io vincere equivale a "vivere" e perdere equivale a "morire" ed ecco i cosiddetti vincenti e realizzati della vita e invece i perdenti e i falliti.

Tutto è basato sul vincere, sul confronto, sulla competizione.

E anche l'al di là diventa un premio per la vittoria.

Perchè?

Se sei al buio ed accendi la luce, il buio scompare, ma la tua paura del buio rimane. Se sei al buio e non hai paura, quella è la vera forza”.

Spesso, nelle situazioni difficili, critiche, negative, cerchiamo sempre uno spiraglio di luce, una qualche soluzione che ci faccia uscire da quella situazione e magari ci riusciamo anche e quel sollievo dura un po', o dura molto, però la nostra paura ce la portiamo dietro e come ci viene a mancare qualcosa ritorna subito in noi.

Vorremmo essere invulnerabili, ma cosa significa invulnerabile?

Mi dicevo, quand'è che mi sento invulnerabile? Quando sono corazzato ed armato fino ai denti? Quando cioè mi sento protetto da un lavoro, da un successo, dall'appoggio di qualche potente o che io stesso divento potente, si, forse in quel momento mi sento forte, ma la paura dentro rimane e appena qualcosa mi si toglie, la paura aumenta e mi ritrovo a fare cose anche orribili pur di allontanarla da me.

La paura non si allontana cercando soluzioni fuori da sè, anzi così la si conserva dentro di noi; ce la portiamo sempre dietro, o meglio, dentro.

La vera forza sta nell'essere nudi e vulnerabili e ciò nonostante non avere paura, questa è la vera forza.

Ecco che allora scopri che la vera invulnerabilità sta proprio nella vulnerabilità.

E così è per la vittoria, che finchè siamo vincitori ci sentiamo protetti e sicuri, ma sempre con la paura che un giorno perderemo.

Allora devi essere sempre in allenamento, sempre in forma, devi sempre dimostrare di essere il migliore o tra i migliori e tutto questo per la paura un giorno di perdere.

Perdere ci fa sentire affranti, sconfitti, falliti, ma è solo un'opinione che vive all'interno di quel gioco, perchè la sconfitta, una volta che non fa più paura, ti fa sentire veramente libero, non importa più essere sempre all'avanguardia, essere sempre in prima fila, non devi più dimostrare di essere il migliore, non hai più pretese verso te stesso, perciò anche qui, scopri che la sconfitta, in realtà è la vera vittoria.

Ma poi cos'è che ci fa desiderare di essere invulnerabili? Forse la paura che qualcuno ci faccia del male? E cos'è che ci fa desiderare di essere sempre vittoriosi, sempre primeggiare in qualcosa o su qualcuno? Forse la paura che altrimenti non saremmo considerati, non saremmo stimati, amati?

Ritornando al quesito iniziale, cos'è che ci fa accendere la luce se non la paura del buio? Se non la paura di morire?

Ecco che alla base di tutto ci sta la paura, ecco che il desiderio di primeggiare ed essere imbattibili e invulnerabili ha come radice la paura.

Quindi la differenza tra la sconfitta e la vittoria e tra la vulnerabilità e l'invulnerabilità sta nella paura, più si ha paura e più si cerca l'invulnerabilità, meno si ha paura e meno ci si cura di essere vulnerabili; più si ha paura e più si cerca la vittoria, meno si ha paura e meno ci si cura di perdere.

Quindi chi è il vero vincitore? Chi è il vero indistruttibile? 

Più si è attaccati all'ego, alla personalità e più si sente la paura della morte; più si è risvegliati nell'essere e più si sente la sicurezza dell'immortalità.

"Quando comprendi la vera essenza della sconfitta, diventi vincitore, quando comprendi la vera essenza della vulnerabilità, diventi vulnerabile e quando comprendi la vera essenza di te, ti accorgi della tua eternità". 

"Libertà non è la possibilità di fare ciò che si desidera. Ciò che si desidera è sempre conseguenza di una necessità, frutto di incompletezza e di limitazione.

Libertà è la possibilità di sottrarsi ad uno stato di limitazione ed è un attributo crescente dell'evoluzione.

E' assolutamente libero chi non è soggetto ad alcuna limitazione."

(“Dai mondi invisibili” CF77)

Il volere è sempre dovuto a una necessità, a un bisogno o a una mancanza, perciò è un volere condizionato e non vero o puro. Se, invece, derivasse da uno stato neutro (senza necessità), ci si accorge che non si avverte nemmeno il bisogno di volere.

Perciò non sta nel desiderare qualcosa o nel raggiungere qualcosa, ma nel comprendere molto profondamente la limitazione stessa che fa scaturire quel desiderio.

Quando tale limitazione la si comprende per quale è, allora subentra una specie di rifiuto del suo proseguire, la si abbandona coscientemente. Ed è proprio in quell'abbandono naturale, in quel sottrarsi, il suo vero attributo crescente dell'evoluzione, perchè è segno di aver compreso appieno la limitazione, tale da liberarsene.


IDENTIFICAZIONE

Per l'”io” sopravvivere vuol dire essere maggiormente ricordati, in un certo senso è instillare negli altri il ricordo e considerazione di noi stessi per far prolungare la sopravvivenza del proprio "io", e più siamo ricordati e più sentiamo di sopravvivere.

Questo aggrada l'ego!

Il suo senso di sopravvivenza è prolungare se stesso più che può e se ci guardiamo bene dentro di noi, ci rendiamo conto che tutta la nostra vita è incentrata in questa ricerca spasmodica di far sopravvivere questo nostro “io”.

L'errore sta nel fatto che noi ci identifichiamo in un "io" e partiamo dal presupposto che questo "io" sia il soggetto delle nostre azioni e parole.

Sappiamo anche che questo "io" è illusione, è apparenza, però lo sappiamo solo mentalmente, non ne siamo convinti, quindi continuiamo su questo presupposto, attribuendogli qualità e valori.

I Maestri del Cerchio Firenze 77 ci dicono che: "Non esiste un soggetto che "sente"; il soggetto è il "sentire" stesso" (dal libro "Oltre l'illusione") e inoltre: "Che non sia lo spettatore che si commuove alla proiezione delle scene commoventi del film, ma che sia la commozione dello spettatore - commozione che proviene dal più profondo del suo "sentire" - a determinare il succedersi sullo schermo delle scene commoventi? Provate a considerare la realtà da questo punto di vista, che è il punto di vista dall'Assoluto al relativo, e non dal relativo all'Assoluto; non dall'uomo a Dio, ma da Dio all'uomo." ("Per un mondo migliore"CF77).

In effetti, se ci pensiamo bene, chi è che si commuove veramente?

Quando vedo una scena che mi fa ridere o mi commuove tanto da piangere, chi è che ride o si commuove?

Credo di essere io a farlo, ma in realtà mi viene da dentro, non sono io a deciderlo, è qualcosa che sento forte dentro di me, tanto da piangere o ridere.

Lo attribuisco alle mie emozioni, come una qualità del mio io, sempre in rilevanza e in funzione della presunta soggettività del mio "io" che credo di essere. Ma se fossi veramente io il soggetto, dovrei anche essere io a decidere se e quando ridere o piangere, invece non mi viene a comando, è qualcosa nel profondo di me a deciderlo.

Nel momento, invece, in cui voglio farlo io, questa mi accorgo è falsata, è una risata o lacrime di facciata, non è possibile per l'io decidere una risata o pianto vero. Quando è vera viene dal profondo di noi, quando lo vuole l'io è solo di facciata, è falsa, è "apparente".

Da qui si può capire la differenza tra "apparenza" ed "essere".

Per esempio "comportarsi" da altruista o "essere" altruista, la differenza non sta nella capacità della persona, ma è proprio nella soggettività; se c'è il soggetto, l'altruismo è solo di comportamento e quindi apparente; "essere" altruista, invece, è la fusione tra sostanza e qualità, quindi il soggetto si fonde con la qualità, diventa quella verità ed è quello che ci dicevano sempre i Maestri, che nel mondo del sentire si "é" anche quella verità, infatti nel mondo del "Sentire" non c'è un soggetto che percepisce, ma c'è l'identificazione, cioè sostanza e proprietà, o quantità e qualità si identificano, in sostanza Dio non è uno che ama, ma è "Amore", non è uno che ha coscienza, ma è "Coscienza", non è uno che vive, ma è "Vita".

Il soggetto/persona, per quanti sforzi potrà fare per diventare altruista, perverrà soltanto ad un comportamento, migliore o peggiore, ma sempre apparente, mentre "essere" altruista è aver trasceso l'io e la soggettività.

"Non esiste un soggetto che "sente"; il soggetto è il "sentire" stesso".


CHI SONO?

Fin da ragazzino ho sentito importante il conoscere se stessi e i libri del CF77 me lo hanno confermato, ma conoscere se stessi non è solo un'analisi psicologica o psicoanalitica, perché questi rimangono ristretti nella sfera persona/soggetto (io).

Quando vado nel profondo di me, mi accorgo che non riesco a giungere in profondità più di tanto e avverto una presenza, un "qualcosa" che invece sa tutto di me, che mi conosce fin nelle viscere, che mi conosce in ogni cellula ed è lo stesso che conosce tutto l'universo e oltre.

In quel momento capisco che non posso essere io il soggetto di me stesso, ma lo è la "sostanza" di cui è fatta la vita e cioè lo "spirito".

Nel mondo della percezione non si conosce la sostanza di qualsiasi cosa, ma solo l'attributo, tanto che lo si confonde con la sostanza stessa, non si conosce quindi la realtà di qualsiasi cosa, ma solo l'apparenza, così io non posso conoscere la vera essenza di me finché sono nella percezione, posso tutt'al più conoscere quello che non sono, ossia quel "me" che credo di essere.

Questo mi collega a quando, un giorno di tanti anni fa mi ero svegliato con una frase in testa: <<Non puoi conoscere il tuo vero essere, puoi solo "esserlo" >>. E' una verità molto forte che si era installata in me come un intuito e mi sta aiutando molto nella comprensione.

Si rifà senz'altro a quanto dicono anche i Maestri del Cerchio Firenze 77 che nel mondo del "Sentire" non si conosce una verità, ma la si E'.

Mi fa capire che tutto quello che io posso conoscere, udire, toccare, odorare, vedere, sperimentare ecc può essere solo l'apparenza della realtà, perchè la vera sostanza non può essere conosciuta.

"La proprietà dei corpi è ciò che si manifesta di essi; è il loro apparire, non il loro essere.

[...]Le realtà intrinseche degli oggetti, sostanze, materie, corpi, ecc., le possiamo immaginare attraverso al comportamento che essi hanno in situazione di controllo, nei fenomeni a cui li sottoponiamo, ma sono tutte sempre e solo deduzione logiche.

MAI, certezze assolute.

Anche quando si osserva al microscopio una cellula, non si osserva la sua realtà, bensì ciò che di essa appare. E per quanto intimamente, interiormente, ci si possa spingere nell'indagine, si coglie solo e sempre ciò che appare; mai l'ipostasi.

[...]Ora, che la sostanza nel mondo della percezione sia inconoscibile nella sua Realtà intrinseca, al di là di come appare, è vero. L'ho detto prima. Non è inconoscibile per mancanza di strumenti, ma proprio per impossibilità. Infatti, la conoscenza della Realtà intrinseca, è possibile solo in un mondo di identificazione, di superamento della separatività.

Quindi non in uno stato di dualità, molteplicità." (Seduta del 17 Mar. 1983 - CF77)

Dunque tutto quello che io posso conoscere nella dualità può essere solo l'apparenza della realtà, perchè si conosce solo la proprietà dei corpi, mai la sostanza.

Ecco che le parole: "Non puoi conoscere il tuo vero essere, puoi solo esserlo" hanno un loro significato ben preciso. Innanzitutto mi fa capire che, essendo questo "io" qualcosa che posso conoscere, sentire, annusare, vedere, pensare, sperimentare ecc, non può essere la mia realtà, la mia vera sostanza, la mia vera essenza; ma è solo l'apparenza della sostanza (spirito).

E che "esserlo" non vuol dire raggiungerlo (sarebbe sempre un movimento destinato a finire), ma comprendere la vera essenza di me, la vera sostanza che sono, o meglio ancora, che in realtà c'è solo Lui, l'unica vera sostanza immutabile ed eterna. Allora chi sono io, chi sei tu, chi siamo noi?

"Non v'è nessuna differenza, in Realtà, fra noi, voi, io e te; ma ogni cosa è il Lui. È Lui moltiplicato nei molti, che si riassume nel Tutto e nell'Uno.

È questo mare immenso di sentire, di coscienza; che compenetra ogni unità elementare dei cosmi e del Tutto stesso, e del Suo stesso Essere.

È Lui che Esiste allo stato di Sentire, non solo limitato e chiuso in un sentire individuale, ma anche in un sentire Assoluto fino all'ultimo atomo del Suo stesso Essere." Da "Oltre l'illusione" CF77.


IL MANIFESTATO E IL NON-MANIFESTATO

La vita che conosciamo è il manifestato, di contro, il non-manifestato non lo conosciamo e non possiamo conoscerlo, dato che non si manifesta, ma sicuramente anch'esso è vita (il vuoto assoluto non esiste).

Forse possiamo parlare di non-manifestato in termini di”potenza”, mentre il manifestato in quelli di “atto”, ma sempre vita è (ricordiamo che l'Assoluto è sia manifestato che non-manifestato e potenza e atto nell'Assoluto sono simultanei e indivisibili).

La manifestazione sul piano assoluto non esiste, perchè esiste solo Dio, è quindi solo relativa e soggettiva e in questa soggettività “appare” nascere, crescere, muoversi, morire. I cosmi si emanano eppoi si riassorbono, la materia ritorna ad essere energia, l'energia ad essere mente, la mente ad essere akasha. Tutto nasce dallo Spirito e allo Spirito ritorna (sempre apparentemente). Invece la non-manifestazione non ha tutto questo, si potrebbe dire che è eterna o è la vera vita, perchè immutabile, non subisce nascita, crescita, movimento e morte.

La vita eterna, quindi, somiglia più al non-manifestato che al manifestato.

Tutto quello che si manifesta e possiamo conoscere è sempre qualcosa che poi, di contro, ritorna allo stato naturale e quello stato naturale non si manifesta, perchè nel momento che lo farebbe, subirebbe anch'esso la nascita-crescita-morte; subirebbe l'emanazione e il riassorbimento.

Tutto questo mi fa pensare che è più “vero” e importante quello che non si conosce e non si può conoscere, piuttosto che ciò che posso conoscere (conoscere è dualità).

Tutto quello che non si manifesta, piuttosto che ciò che si manifesta.

Se posso nominare Dio allora non è Lui, se posso pensarlo allora non è Lui.

Se posso conoscere me stesso allora non è la mia vera identità, se posso vedermi, toccarmi, assaporarmi, annusarmi, pensarmi, allora non è la mia vera identità; non è la mia vera essenza.

Un ritorno al “vuoto”, al “silenzio”, intesi non come situazioni umane, ma come a qualcosa di innominabile, di inconoscibile, di inarrivabile, di incommensurabile quali siamo, perchè è l'unico modo in cui possiamo esistere realmente; l'unico modo in cui esiste Dio.

Se prima sentivo il bisogno di divincolarmi nel farmi spazio, nel distinguermi, nel voler dire a tutti i costi ehi ci sono anch'io qui, ora non lo sento più, perchè comprendo che quel “me” non è vero, è solo illusione e più si agita e più si illude.

Ora sento importante ritrovarmi in quel mistero, in quell'ignoto che, forse, non fa più tanta paura; per ritrovarmi in quel “vuoto” … e sapere che, forse, “sono” proprio quel vuoto.

E mi sento leggero!


TRASCENDERE L' ”IO SONO”
L'argomento del trascendere l'"io sono" è da sempre poco compreso e poco accettato. 
E' un argomento delicato, perchè può turbare qualche animo, persino nella spiritualità.  
I Maestri del Cerchio Firenze 77 suppongono giustamente che anche se loro ci dicono che ci identificheremo in Dio, come mèta finale, noi saremmo disposti a rinunciarci pur di conservare il nostro "io sono", perchè questo è ancora molto forte in noi. 
Ci vediamo come un essere che cresce, che evolve sì fino a identificarsi in Dio, ma sempre come essere ben distinto.
 
"Se l'uomo evolvesse nel senso del divenire, non giungerebbe mai ad identificarsi in Dio." CF77.
"Noi quali ci sentiamo, quali crediamo di essere, fratelli, esistiamo solo nell'illusione;
nell'illusione della separatività. IN REALTA' ESISTE SOLO LUI.
Ma poiché Lui è Sentire Assoluto, che comprende e riassume in Sé ogni sentire,
ciò garantisce che la nostra esistenza non finisce col finire dell'illusione." CF77.

Nello scritto “Le parole del silenzio”, per poter capire meglio questo concetto,
ho paragonato l'Assoluto al silenzio e l'essere alla parola. 
E' chiaro che se c'è la parola (uno che parla), non c'è il silenzio; viceversa se c'è il silenzio, non c'è la parola. Potremmo parlare del silenzio, concettualizzarlo, ognuno esprimere una sua versione, ma il silenzio avverrà solo tacendo, solo conformandoci al silenzio. 
Così è per l'Assoluto, se c'è l'essere distinto, l'Assoluto non è più Assoluto, diventa relativo e divisibile; se invece c'è l'Assoluto, l'essere è trasceso. 
La nostra eternità è solo nell'identificazione in Lui; come esseri separati o distinti o oggettivi siamo solo illusione.

"Sul piano assoluto, oggettivo, non esiste né creazione, né emanazione, né manifestazione, né esseri, né mondi. 
Esiste solo Dio." CF77.

"Come spiegare più chiaramente ciò, Padre, questo Tuo essere tutti noi, che ci conduce a riconoscerci in Te. Come dirlo? ... Come avvicinarci a questa Realtà, se non abbiamo il coraggio di rinunciare a credere che l'io sopravvive!
Noi quali ci sentiamo non siamo immortali; la nostra consapevolezza finisce per lasciar posto ad un'altra, più grande consapevolezza; fino a che sentiamo che Tu solo Esisti, che Tu solo sei la Realtà.
Ma neppure questa è l'ultimo sentire. È l'ultimo dell'illusione.
Oltre, è l'Eterna Realtà del Tuo Essere; di fronte alla quale, solo il silenzio è giusta voce." CF 77

In questo mio consapevolizzare, come un mix tra la comprensione degli insegnamenti e il conoscere me stesso, inizio ad avvertire una certa inettitudine personale, perchè comprendo che ogni cosa che faccio o vorrei fare, che dico o vorrei dire, che penso o vorrei pensare è comunque soggetto alla dualità e non sarebbe mai fonte di rivelazione, ma sarebbe sempre apparente.

E' una evanescenza dell'apparenza che comprende la sua impossibilità e incapacità nel raggiungere qualsiasi risultato ai fini della Coscienza.

Diventa allora un arrendersi allo Spirito, a lasciare che sia lo Spirito in lui ad agire, a parlare, a pensare.

E qui si comincia ad avvertire l'importanza del silenzio; un silenzio che “rivela” nell'intimità più di tante parole.


LO SPAZIO SACRO

Un giorno, all'improvviso, un silenzio intenso e ineffabile si è impresso dentro me.

L'ho sentito come imponente, maestoso e delicato allo stesso tempo.

Era importante, più importante di qualunque altra cosa.

Era uno spazio sacro che raccoglieva ogni preoccupazione e le spazzava via.

Non ero io che tacevo, era lui che prendeva me. Era un silenzio in cui il me si faceva da parte.

Non era uno spazio tra le parole, era uno spazio in cui le parole perdevano di significato.

Tutto il rimuginare delle parole non aveva valore. In quel silenzio non ci sono risposte, perchè non ci sono domande; tutto è semplice e naturale lì.

Era la calma, la pace, la serenità.

Una serenità che non veniva dall'aver risolto i problemi esterni, ma che questi erano irrisori di fronte a quel silenzio.

Era la soluzione di ogni cosa.

Le parole non potevano esprimere quello che il silenzio stesso esprimeva, pur senza proferire parola.

In quello spazio sacro senti che ogni problema e preoccupazione si risolve o si risolverà.

Senti che è più importante di te e più ti fai da parte e più ti avvolge.

E' il silenzio maestoso dello spirito che muove l'universo e sa meglio di te cosa fare, pur senza fare.

Ogni parola, ogni pensiero, ogni preoccupazione o ansia li sentivo come una violazione alla sacralità di quel silenzio.

Per nulla al mondo avrei voluto violarlo!

Non è il mio spazio sacro, perchè non posso possederlo, non è mio; io posso solo sentirlo, lasciarmi trasportare da lui e sentire tutta la pace, la serenità che mi dona.

Di fronte a quel silenzio ti senti piccolo e grande allo stesso tempo.

Sei in silenzio; sei silenzio! E' il silenzio a parlarti!

Esso assorbe le mie parole, la mia storia e lascio che questo silenzio parli per me.

Sei in uno spazio sacro, nulla può intaccarlo, le parole non servono.

Non violare quello spazio!


LE PAROLE DEL SILENZIO

Questo titolo è un ossimoro o un controsenso, ma è voluto, perchè è un po' il senso della vita.

Nel momento che voglio parlare del silenzio, esco fuori dal silenzio stesso e non è più “silenzio”.

Le parole, i pensieri, non permettono al silenzio di entrare.

Se c'è la parola non c'è il silenzio; se c'è il silenzio non c'è la parola.

Si può parlare del silenzio, concettualizzarlo, ognuno può esprimere una sua versione, 
ma il silenzio avverrà solo tacendo, solo conformandosi al silenzio. 

Bisogna essere un tutt'uno col silenzio; più che ascoltarlo bisogna “esserlo”.

Il silenzio è come l'Assoluto, è silente, vuoto, ma “tutto” allo stesso tempo.

E' immanente e trascendente allo stesso tempo.

Tutto contiene, ma tutto trascende fondendolo in un Tutto Uno Assoluto.

E' il manifestato e il non-manifestato.

E' un vuoto/pieno; è un silenzio/completo.

In quel silenzio, tutte le parole sono contenute, ma fuse e trascese, per cui non hanno bisogno di esprimersi.

Gli esseri sono come le parole.

In quel silenzio ogni parola trova la sua essenza, la sua vera vita, così come ogni essere trova la sua vera essenza nell'Assoluto.

Ritornare a casa, dal nostro vero essere, la nostra vera essenza è ritornare nel Silenzio, non sentire più come importante essere “parola”, sapendo che essere parola spegne il Silenzio.

Se sei “parola”, il Silenzio non può essere Assoluto.

Finchè sentiamo il bisogno di essere parola, vuol dire che sentiamo ancora la necessità di sentirci soggetti, di sentirci considerati, di volerci ancora esprimere come soggetti, di essere apprezzati come esseri indipendenti e quindi separati, volendo così consolidare la propria soggettività e separazione che è solo apparenza.

E non c'è niente di male in questo, perchè è l'inizio della coscienza, ma quando senti di voler ritornare a casa, allora vuoi ritornare al Silenzio, ormai la parola, la “tua” parola non ti necessita più.

In quel silenzio ogni parola trova la sua essenza, la sua vera vita.

Non senti più di violare quel Silenzio, ma di esserne immerso!


LA GRANDEZZA DEL SILENZIO!

Nel silenzio mi sento immenso, mi sento invulnerabile, nessuno può toccare o deturpare il silenzio, esso è come il vuoto che tutto penetra senza esserne intaccato.

Esso è dietro e dentro ad ogni parola, è dietro e dentro ad ogni confusione, ad ogni rumore; è sempre lì, imperturbabile ed innocente.

E' tutto e niente allo stesso tempo; niente perchè vuoto ed inconsistente e tutto perchè in quel silenzio ci sono racchiuse tutte le parole, ma esse evaporano di fronte al silenzio.

Il silenzio diventa tuo padre, tua madre; è il tuo spirito che ti avvolge, che ti abbraccia. Non senti più il bisogno di niente, vuoi solo restare lì in quel silenzio, lasciarti accarezzare da quel silenzio, farti avvolgere da esso.

Ogni parola si annulla quando compresa; quando sei cosciente, quando sei nella coscienza non senti più di doverti esprimere; il vero silenzio assorbe ogni parola!

E tutto tace!

Tace in un silenzio maestoso che è tutto!

La Coscienza diventa Silenzio e il Silenzio diventa Coscienza!

In quel silenzio “Sei”!

    







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